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UNO DEI CENTRI PIÙ ANTICHI DELLA ZONA

La storia di Tresigallo



Tresigallo, l’etimologia del nome

Inoltrandosi nella storia di Tresigallo è interessante osservare le etimologie attribuite al nome di questo paese - situato a 20 chilometri da Ferrara - che alcuni storici fanno risalire al XI secolo. Il termine Tresigallo potrebbe derivare da “Trans Galliam” - scrive il Maciga1 -, tant’è che molti nomi di località del Ferrarese sembrano riferirsi ai Galli, antichi invasori della regione. A questo proposito si ricordano le rime di Augusto Grassilli:

Roncodigallo, Gallo, la Gallina

Gallare, Gallumara, Peregallo.

Come lo canta il gallo la mattina

sono voci a cui sovrasta Tresigallo.

E come nella Gallia d’un pollaio

emblema è il gallo… dagli unghioni gialli,

stemma di Tresigallo son … tre galli2.


I nomi citati appartengono a note località ferraresi, tuttavia la loro derivazione dal popolo dei Galli appare in qualche caso assai dubbia. Si riportano in riassunto i risultati dello studio elaborato dal dottor G. Spedale, già direttore dell’Archivio di Stato di Ferrara.
Egli afferma che, per il Pardi, Tresigallo, “Tarsigal”, deriverebbe dal latino medievale “segallium” = segala; al di là dei campi di segala. Il toponimo “trisicallis”, in epoca medievale trova corrispondenza in nomi di località anche al di fuori del territorio di Formignana, ed è sostantivo proprio di “Corium de Trisigo” ovvero “Thorium de Trisigo” stante ad indicare, nella prima parte un appezzamento di terreno sopraelevato sulla palude e nella seconda parte, “Trisigo”, un tipo di cereale, la segala, che vi si coltivava.

Considerando che il toponimo “Tresicalis” è termine appropriato per la descrizione di un terreno emerso e asciutto, in quanto sopraelevato, un terreno sui cui ripiani correvano fin dall’ antichità le strade e gli itinerari ritenuti più sicuri dalle inondazioni, sulla sua interpretazione si possono avere queste altre possibilità: “Trisis” o “Tresis” = trivio, incrocio di vie o di fiumi; “Calis” = calle, via, argine o strada.

Non vi sono memorie storiche che riguardano Tresigallo nell’epoca preromana, né reperti archeologici anteriori ad un’avanzata colonizzazione romana. Nei documenti medioevali Trisicallium appare in epoca assai tarda e non risulta nel privilegio dell’anno 916 pubblicato dal Muratori, cioè nel documento mediante il quale il console Firminiano riconfermava ai suoi figli i diritti sulla corte di Firminiana. In questo caso Tresigallo, pur non essendo nominato come centro abitato, è incluso implicitamente entro i confini della comunità di Formignana. Ne consegue che il territorio di Tresigallo avrebbe fatto parte integrante della corte di Firminiana. Esso compare anche come villa, per la prima volta, nel 1189 e cioè nella bolla con la quale il pontefice Clemente III, riconosce al vescovo di Ferrara ed alla Chiesa Ferrarese il privilegio su determinati territori, fra cui Tresigallo.

Dunque, se il nome Tresigallo non è di provenienza gallica, abbiamo comunque testimonianze anteriori al 1287, anno in cui furono promulgati gli Statuti Ferraresi, per dire che è uno dei centri più antichi della provincia di Ferrara. Infatti, negli statuti di quell’epoca sono dettate precise norme riguardanti lo scavo di un canale, la sistemazione del suo argine, nonché le incombenze spettanti a tale proposito alla comunità della villa e di quelle vicine. Ulteriore conferma della vetustà sono i caratteri romanici della chiesa di S. Appollinare, nota dal 1100.


1 Si veda U. Malagù, Guida del ferrarese, Ferrara, 1982, pp. 421-422.
2 Ibidem.

Tresigallo. Luogo di svago dei nobili estensi

Andando avanti negli anni, il Lazzari documenta che le casate veneziane Quirini, Moro, Fontana ed altre, dal XII sec., godevano di vasti feudi in Tresigallo.
Doveva però trattarsi di un borgo di poche case addossate alla pieve se, tre secoli e mezzo più tardi, cioè nel 1431, in occasione di un censimento, furono contate soltanto sessantun “anime da comunione”, dizione che si usava per indicare gli uomini e le donne al di sopra dell’adolescenza.

Col trascorrere dei secoli e con il prosciugamento delle paludi il borgo, lentamente, crebbe di importanza; in epoca moderna l’agro faceva parte del nucleo centrale del ducato Estense – le terre vecchie – quasi interamente nelle mani della nobiltà che gravitava intorno alla casa regnante, con palazzi in città e ville o castelli nei poderi, dove si recava per dedicarsi all’agricoltura, alla caccia o alla pesca.

La famiglia dei Negrisoli, ricordata nel diario dell’Anonimo ferrarese, ebbe dimora in Tresigallo nel 1499, come si rileva da una bolla del 1632 di Urbano VIII. Essa abitava saltuariamente nei pressi del paese, lungo l’argine del Bracciolo nel palazzo cosiddetto dei Pio perché nel XVI secolo apparteneva ai Pio di Savoia.
L’edificio, da pochi anni proprietà del Comune, conserva ancora qualche traccia di affresco.
Sui campi delle “possessioni”, la cui ampiezza veniva commisurata dalla vastità della stalla-fienile, si svolgeva la dura attività contadina della famiglia che abitava sul fondo, composta talvolta da venti, trenta ed anche quaranta persone, mentre nei borghi e nel centro abitato, risiedevano i braccianti.

È da ricordare che fu parroco di Tresigallo Domenico Vincenzo Chendi, nato nel 1710, vero maestro fra gli antichi agronomi. Egli pubblicò nel 1761 “Il vero Campagnolo Ferrarese” e nel 1775 “L’Agricoltore Ferrarese in dodici mesi secondo l’anno diviso a comodo di chi esercita l’agricoltura”, primo trattato organico in materia. Pietro Niccolini in uno studio sull’agricoltura ferrarese ne elogia l’acuto ingegno e il profondo sapere.

I primi interventi di bonifica

Scorrendo nella storia di Tresigallo, si arriva al periodo della Grande Bonifica. I primi tentativi di bonifica idraulica, intrapresi per volontà del conte Francesco Aventi, risalgono al 1856 e vedono la società dello stesso impegnata in prima persona per la realizzazione1. Il conte era proprietario delle Valli Gualenga e Burina, che si estendevano per circa 506 ettari nei pressi di Tresigallo e, in società con un tale Gilli, si cimentò nell’impresa di bonificarle.
L’espediente utilizzato fu quello di dividere e frammentare la valle in tanti piccoli bacini, costruendo piccoli argini artificiali di divisione. Con l’ausilio di una macchina idrovora, poi, si sarebbero liberati dall’acqua, e, una volta risanati e riempiti di terra, sarebbe risultato facile mantenerli asciutti attraverso una fitta rete di fossati di scolo.
Il proposito non ebbe gli effetti sperati a causa della permeabilità degli argini artificiali e per le molteplici infiltrazioni provenienti dai bacini vallivi della zona. Aventi, convinto della validità del suo progetto ed interessato ad ottenere nuovi terreni, ci riprovò nell’ottobre del 1864, fondando con Vittorio Merighi una nuova società, appoggiato anche dalla stampa locale la quale diede spazio al tentativo2. Questa società, però, non riuscì a reperire i finanziamenti che le avrebbero consentito di intraprendere l’intera operazione, tanto che con Regio Decreto del 2 agosto 1868 venne sciolta3.
La parte orientale della provincia ferrarese perdurava così in una situazione di precarietà idraulica dovuta all’estesa area paludosa che si estendeva dal Po di Primaro al mare ed era composta per circa un terzo dalle Valli di Comacchio, a quel tempo ancora molto estese dato che si allargavano, con l’ampia Valle del Mezzano, fin a toccare Massafiscaglia, Ostellato, Portomaggiore e Argenta.
Il momento di svolta va individuato quando, il 20 luglio 1871, a Londra, venne costituita la Ferrarese Land Reclamation Company Limited, per mano di esponenti della politica e della finanza italiana e soprattutto inglese, dato che l’unico sottoscrittore italiano era il banchiere fiorentino Giuseppe Robbo. Il grande interesse dei banchieri inglesi e l’ingente capitale sociale della neonata società, 300.000 sterline, è espressione del ruolo di Londra, capitale finanziaria e interessata allo sviluppo urbano che si sarebbe potuto incrementare in questo lembo di Pianura Padana una volta portati a termine i lavori di bonifica con la relativa conversione della terra in campi da coltivare, vendere o affittare4.

La società anglo-italiana fu sostituita in seguito dalla Società Anonima per la Bonifica dei Terreni Ferraresi (d’ora in poi S.B.T.F) a fronte di una cooperazione che vedeva protagonisti la Ferrarese Land Reclamation Company di Londra, la Banca di Torino, la Società Italiana di Lavori Pubblici e la ditta Ulrico Geisser & C. di Torino5. La S.B.T.F. acquistò circa 21.460 ettari di terreno palustre, trovandosi anche a scontrarsi, a più riprese, coi proprietari terrieri, restii a vendere i terreni a cui la società era interessata.
Le prime operazioni coinvolsero l’estrema parte occidentale della provincia - la quale, ricordiamo, si trovava per gran parte sotto il livello del mare -, con la creazione dell’imponente impianto idrovoro di Codigoro, luogo prescelto ad accogliere le acque di scolo provenienti dal vasto bacino a occidente del Canale di Goro. Nel 1874 vennero messi a coltura i primi 1000 ettari di terreno prosciugati, nel 1875 altri 3.000, a grano, ma i risultati furono assai scadenti. Solo nel 1880 le prime grandi operazioni di bonifica potevano considerarsi concluse; i 22.000 ettari circa di palude acquistati dalla S.B.T.F. erano stati convertiti in terreno da sfruttare6.
I primi insuccessi nelle colture, dovute anche ai terreni sabbiosi e argillosi, portarono al ritiro dei soci inglesi dalla società. La S.B.T.F., in seguito, cedette parte dei suoi terreni bonificati ad altre due società: la “Società Lodigiana per l’acquisto e la coltivazione dei Terreni” e la “Cirio”. In particolare, nel 1877, la Lodigiana ebbe in enfiteusi, per trent’anni, 634,86 ettari di terreno, nella zona di confine tra Tresigallo e l’attuale comune di Jolanda di Savoia.

Nell’arco di un trentennio l’opera di bonificazione di questa zona poteva dirsi in gran parte conclusa. Fu terminata nel 1906, grazie alle grandi pompe idrauliche inglesi ‘Gwine’, ma soprattutto grazie alle braccia di migliaia di spondini e scariolanti, ai quali venne richiesto un intenso sforzo fisico.


1Francesco Aventi era un ricco possidente locale e un profondo conoscitore dell’agronomia. Nel 1846 pubblica le Osservazioni sui vantaggi di una rotazione quinquennale, in confronto alla rotazione in uso nel Ferrarese, frutto di esperimenti compiuti nella sua tenuta di Tresigallo. Egli difendeva la tesi che l’agricoltura ferrarese avesse bisogno di una rotazione quinquennale in cui fosse compresa anche la produzione di foraggi poiché ne avrebbe beneficiato la fertilità del terreno.

2«La Società Aventi per la Bonifica delle Valli Ferraresi, a mezzo del suo Corpo idraulico, avrebbe pressoché terminato i rilievi […] vedremo resa fertile l’estesa superficie di Ettari 22.000 circa oggi coperta da paludi e da acque stagnanti», in «Gazzetta Ferrarese», 4 gennaio 1864.

3Cfr. A. Roveri, Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo (1870-1920), Firenze, La Nuova Italia, 1972, pp. 4-5.

4Cfr. A. Saltini, La “boaria”, monumento di secoli di storia agraria, in La corte colonica nel ferrarese, Ferrara, Fondazione Carife, 1998, pp. 29-32.

5Il capitale iniziale della società era composto da 16.000 azioni, del valore di L. 500 ciascuna. Il pacchetto di maggioranza era posseduto dalla Società inglese (8.000 azioni), poi a seguire la Società dei Lavori Pubblici di Torino (4.000), la Banca di Torino (3.000), e la ditta Ulrico Geisser & C. (1.000). Per approfondimenti sul tema si veda T. Isenburg, Investimenti di capitale e organizzazione di classe nelle bonifiche ferraresi (1872-1901), Firenze, La Nuova Italia, 1971, pp. 50-51.

6Ibidem.

Tresigallo, una misera borgata

T resigallo, ai primi del ‘900, appare come un umile paese del Basso Ferrarese, situato in una zona particolarmente ostile all’insediamento dell’uomo.Ha una chiesa, una torre (oggi Palazzo Pio di Savoia), la villa di un conte fallito per aver tentato di fare una bonifica a sue spese (è il conte Francesco Aventi), una scuola elementare, una scuola di musica con banda filarmonica e alcuni gruppi di case che rassomigliano maggiormente a “catapecchie” o accampamenti di “baracche”: il Ghetto, i Cortili, il Cortilone, il Braglione, i Palazzi, la Peschiera.

La zona centrale del paese è divisa in numerose proprietà, nelle quali si è edificato solamente in minima parte; il resto del terreno è coltivato o mantenuto a orto.

E’ congiunto alle località vicine da vecchie strade, spesso impraticabili durante i mesi invernali, e alla città dalla strada che costeggiava per lunghi tratti l’argine sinistro del Volano. Chi da Tresigallo voleva recarsi a Ferrara, agli inizi del XX secolo, poteva usufruire di una diligenza a sei posti, puntuale ogni lunedì e venerdì, e arrivare dopo tre ore e mezzo di peripezie allo stallatico di via Contrari, nel cortile del palazzo Montecatini. Oltre alla diligenza era possibile giungere nella città estense, dopo tre ore abbondanti, per mezzo del vaporetto “Graziella”: l’imbarco era a Valpagliaro, distante due chilometri da Tresigallo.

Solo il centro del paese (la via Principale e la piazza della chiesa) aveva un aspetto dignitoso: oltre alle scuole elementari e alla scuola di musica c’erano gli edifici della Delegazione Comunale, del Dazio e delle Poste e l’abitazione dei dipendenti comunali (Casazza, Tebaldi, Mirella); tutta la via principale presentava qualche negozietto o qualche piccola baracca ove lavoravano poveri artigiani. Gli alimenti venivano venduti nell’Alimentare di Pino Villani, la carne nella macelleria di Livio Mariani, il pane nel forno del signor Antonellini, articoli vari nel Bazar dei Bertelli.

Esistevano nella borgata anche calzolai, sarti, ambulanti, barbieri, falegnami, birocciai e qualche pescatore, i quali cercavano di tirare avanti come potevano, senza rinunciare al lavoro d’estate nelle campagne pur di arrotondare i loro poveri guadagni, aspettando tempi migliori.

Nonostante la totale miseria in cui riversava la borgata, agli inizi degli anni Trenta, contro ogni pronostico, il paese diventa protagonista di una vera e propria rivoluzione industriale, nonché sociale e antropologica, grazie al volere e all’ingegno di Edmondo Rossoni.

Rossoni e la sua città

E dmondo Rossoni nacque a Tresigallo, nel 1884, quando il paese era solo un povero agglomerato di vecchie case. Anarchico, socialista, anima inquieta, insomma quel che si dice un perfetto rivoluzionario, nel 1908 Rossoni aveva già preso una delle sue prime condanne (quattro anni di reclusione e due di sorveglianza speciale); e quando se ne andò all’estero si guadagnò il foglio di via da Brasile, Stati Uniti, Canada e Francia perché sovversivo e dunque sgradito.
Praticamente inarrestabile, presto divenne una vera e propria potenza politica, con una escalation che lo portò a conquistare, nel 1921, la carica di capo dei sindacati fascisti, aderendo così al fascismo, mantenendo sempre quel suo lato ribelle, spregiudicato di vecchio rivoluzionario.
Sempre manterrà come sogno l’idea di un “Paese più giusto” e forte economicamente anche sulla scena internazionale, un Paese senza padroni né servitori e dove i proprietari non devono più considerarsi padroni. Si fa così portavoce del “sindacalismo integrale”, ovvero l’organizzazione in un medesimo ente corporativo, autonomo sia dai partiti che dallo Stato, di datori di lavoro e prestatori d’opera. Questa teoria trova però ostacolo da parte dei datori di lavoro, per nulla disposti a rinunciare alla loro autonomia. Dopo alcuni anni, nei quali Rossoni è appoggiato da un grandissimo consenso nazionale nonché temuto dallo stesso Mussolini (il quale intuisce che quell’abilissimo oratore e trascinatore di folle andava ridimensionato), il 21 novembre 1928, avviene il cosiddetto “sbloccamento sindacale”, dove il Sindacato unitario diretto da Rossoni viene diviso in sette parti. E’ la sconfitta politica di Rossoni, il quale perde potere e consenso.
Ma il tresigallese è personaggio troppo importante e ingombrante.
Così, nel settembre del 1930, entra a far parte del Gran Consiglio del Fascismo e nel luglio del 1932 viene nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Sono questi gli anni in cui vengono costruite le prime città nuove volute dal Duce: sorgono Littoria, Sabaudia, Pomezia, Aprilia, Guidonia (nel Lazio), Mussolina (poi Arborea), Carbonia, Fertilia (in Sardegna).
Rossoni presenzia personalmente alla costruzione e all’evoluzione di alcune di queste città - inaugurando nuovi stabilimenti industriali o visitando i cantieri - osservando allo stesso tempo le loro carenze organizzative e sociali: i problemi idrici, una ascesa industriale mai veramente decollata (basta leggere il materiale raccolto dal Centro Etnografico di Ferrara dove sono presenti le continue lamentele degli emigranti ferraresi), una bonifica troppo radicale (dove c’era l’acqua allora, oggi c’è una siccità geologica), una migrazione “coatta” che destabilizzava l’individuo, il quale veniva a trovarsi a contatto con una realtà aliena.
Rossoni inizia così a pensare, segretamente e lontano da grandi clamori, alla costruzione di una “città modello”, la sua città, dove poter concretizzare le sue idee di sindacalismo integrale, sicuro del fatto che, se fosse riuscito a proporre un modello concreto di città corporativa, avrebbe dimostrato che la sua idea era vincente, e, successivamente, avrebbe potuto riproporla su scala nazionale.

Costruire una città utopica, mai realizzata prima di allora, dove ci sarebbe stata una viva collaborazione tra lavoratore e datore di lavoro, con obbiettivi finalizzati a creare nuove risorse e opportunità, nuovo sviluppo, maggiore ricchezza e benessere per la gente.

È il 1933 quando, con la costruzione della strada che da Ferrara porta a Tresigallo, la viabilità e il commercio si aprono a quel piccolo paese che viveva ormai da secoli nella povertà e nella miseria.
Con la nomina nel 1935 a Ministro dell’Agricoltura e Foreste, Rossoni si dedica a fondo alla costruzione della sua città, in modo quasi clandestino, senza utilizzare i grandi clamori propagandistici con cui le città nuove dell’epoca venivano seguite. L’indomani della nomina a Ministro, Rossoni torna a Tresigallo, dove tutta la cittadinanza lo aspetta in teatro festante, e si impegna a ricostruire Tresigallo, con case, ospedale, fabbriche, piazze, vie, dando lavoro – egli disse - a quella cittadinanza che fino ad allora aveva vissuto soffrendo.

Costruzione della città

R ossoni, nei giorni in cui si trova a Tresigallo, progetta “a tavolino” assieme all’ing. Frighi il futuro sviluppo del paese, tracciando, probabilmente in privato, linee organizzative urbanistiche estremamente precise. L’intervento non avviene sul “completamente vuoto”, ma le preesistenze del paese agricolo ottocentesco diventano determinanti per il nuovo disegno urbano: permane l’asse centrale (corso Roma), attorno al quale vengono delineate soluzioni viarie, come i rettilinei di circonvallazione e i piazzali di connessione periferici, in uno schema estremamente rigido; mentre l’interesse per il completamento architettonico viene passato in secondo piano.

Il ministro, da Roma, avvalendosi dell’autorità fornitagli da questa carica esecutiva, autogestisce la creazione della “propria città”, con un’autonomia totale rispetto alle volontà e alle prerogative del Regime.

Rossoni mette fretta, chiede la massima operosità ai manovali e ai muratori (“devi fare un appello caloroso agli operai muratori a nome mio, perché rendano molto mettendosi quanto più è possibile in ogni cantiere1”, scriverà all’amico Mariani, nella lettera del 17 novembre 1936), verifica di persona, di tanto in tanto, l’andamento dei lavori, ordina di fare presto, di concludere il prima possibile gli edifici prestabiliti.

Non è di certo un caso l’ordine con cui vengono realizzate le opere edilizie nella nuova città: la preoccupazione di Rossoni è quella di costruire prima gli edifici di interesse pubblico, poi le industrie e, successivamente, le abitazioni. Questo per poter fornire subito una base abitabile ed un’immagine diversa al paese pensando di poter meglio popolarlo fornendolo prima di tutto di una dotazione di servizi - pubblici e industriali - efficienti.

Il ministro dunque si muove velocemente: quando trova un ostacolo, (i proprietari che non vogliono cedere il proprio terreno, imprese non interessate a stabilirsi in loco…) cerca altre soluzioni, si ingegna, agisce con intelligenza, dimostra personalmente agli imprenditori -i quali inizialmente rifiutano di aiutarlo- che vi può essere un guadagno reale. Da vero burocrate, esprime il suo desiderio di cambiare il paese natale, attraverso puntualizzazioni scritte, con schizzi esecutivi dei lavori in atto. Gli schizzi presenti nelle lettere sono una sintesi, graficamente inadeguata ma pragmaticamente esecutiva, delle tappe dei lavori eseguiti a Tresigallo.

Le notazioni scritte che fanno da didascalia agli schizzi, esplicitano la collocazione urbana delle opere da eseguire, sostituendo sufficientemente lo schematismo di difficile interpretazione dei disegni. C’è quindi una corrispondenza intensa tra il Rossoni “autorità” e l’amico macellaio Mariani, destinatario delle lettere, che a sua volta le trasmette all’esecutore e firmatario dei lavori, l’ingegner Frighi.

Per concretizzare velocemente le idee del ministro, venne istituito un ufficio di progettazione locale agli inizi di viale Roma – diretto dall’ingegner Frighi - e venne nominato un responsabile di cantiere esecutivo dei lavori, il geometra Mezzadri. L’ufficio di progettazione dei lavori era in collegamento stretto con il cantiere esecutivo: Frighi disegnava i progetti e Mezzadri li eseguiva. Così, a poco a poco, si è iniziato a vedere l’edificazione di una ‘nuova Tresigallo’.


1Cfr. P.G. Massaretti (a cura di), Tresigallo città del Novecento,Bologna, Editrice Compositori, 2004,pp. 78-81.

La città cantiere

L ’operazione di trasformazione della cittadina e del territorio avviene attraverso la partecipazione della gente del posto, anche se, in alcuni casi, non ha un’adeguata preparazione professionale, come scriverà Rossoni in una lettera a Mussolini nel 1940.

Dal ‘35 al ‘39 Tresigallo è una continua saturazione di spazi: non si fa in tempo a tracciare le vie che immediatamente crescono i corpi delle fabbriche, le nuove abitazioni, i nuovi servizi pubblici. Il tracciato della nuova strada Ferrara-Tresigallo, oltre ad essere un importante snodo viario, permise di dislocare le industrie vicino al paese senza che fossero in prossimità del centro abitato. Solo a Tresigallo si possono osservare esempi di case multifamiliari: originali sono gli esempi delle quattro case identiche situate all’incrocio di via Filippo Corridoni con via della Vittoria, e delle costruzioni altrettanto simili che si affacciano ai due lati del Piazzale Distilleria, oggi Piazzale Scienze.

Diversamente dalle città rurali create dal Regime, Tresigallo disponeva di una dotazione di servizi pubblici di prim’ordine: la Scuola di Ricamo, il Teatro, l’acquedotto, due alberghi, un Asilo nido, un Asilo infantile, la Casa del Balilla poi divenuta casa della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio), le Assicurazioni Generali, il Bar Roma, una Sala da Ballo, la Scuola Elementare e un Campo Sportivo. Questo a testimonianza di una volontà diversa da quella statale, per la quale i contatti al di fuori del mondo del lavoro, fra persone di diversa estrazione sociale, erano da evitare in quanto o dispendiosi di energie da devolvere alla produzione e alla crescita demografica, o pericolosi per un eventuale controllo politico.

Tresigallo viene arricchita di un arredo urbano costituito da cento e più lampioni (a due bracci nei viali principali, a 4 bracci nelle circonvallazioni, a un braccio nelle vie secondarie), decine di panchine, fontane, centinaia di alberi selezionati, nel parco dell’ospedale, lungo il viale del cimitero, lungo viale Roma, lungo viale Verdi, in Piazza Rivoluzione e intorno agli opifici, ovunque. Una parte della Rossonia, quella che parte da Final di Rero e arriva fino all’entrata di Tresigallo, era delimitata da cordoli e fiancheggiata dalle artistiche recinzioni degli stabilimenti e delle masserie. Essendo in periodo di piena autarchia, in alcune recinzioni (come quella che delimitava il terreno denominato Motta, di proprietà di Rossoni) si sperimentarono per la prima volta in Italia straordinarie tecniche di costruzione usando materiali nuovi, come il cemento vibrato, utilizzato dalla ditta Donati di Modena. Col cemento si cercò anche di simulare il marmo (molte opere, come il porticato della chiesa, sono in finto marmo) ottenendo le venature con del sale grosso sparso sulle lastre in essicazione.

Tutte le strade e le piazze del paese erano pavimentate con piastrelle di bitume misto di spessori di quattro e due centimetri, a seconda se erano destinate a sopportare carichi pesanti o destinate al passeggio. Viale Roma aveva due ampi controviali mentre le altre beneficiavano di ampi marciapiedi pavimentati.

Una cittadella di tecnici

I l nuovo centro urbano nasce e si organizza in funzione del tentativo di attivare una struttura produttiva integrata (agricoltura, industria, servizi) con lo scopo di trattenere, in parte, la manodopera rimasta disoccupata o sottoccupata nella provincia. Nelle intenzioni di Rossoni, Tresigallo doveva essere una cittadella di tecnici costruita da tecnici e lavoratori, dove il nucleo generatore fosse la fabbrica.

Venne prodotto un ammodernamento socio-economico rispetto l’originaria configurazione di borgo agricolo padano: furono realizzate -come in un vero polo agro-industriale di scala regionale– fabbriche destinate alla produzione di macchine per l’agricoltura, stabilimenti per il trattamento industriale dei prodotti agricoli provenienti dalle circostanti terre bonificate (canapa, barbabietola, latte, frutta) ed industrie per la produzione di prodotti autarchici, ricavati principalmente dalla lavorazione della fibra della canapa o dei suoi sottoprodotti.

Il primo nucleo industriale che si incontra lungo la strada proveniente da Ferrara in direzione Tresigallo è lo stabilimento della Soc. An. CELNA. Costruito tra il 1939 e il 1940 produceva cellulosa dal canapulo (residui della canapa macerata) e dal quale si ricavava cellulosa grezza. Per dimensioni si trattava di uno degli stabilimenti più grandi d’Europa e la sua capacità di lavorazione era di 600 q.li di cellulosa al giorno con la possibilità di raddoppiare la produzione proporzionalmente alle disponibilità di materie prime; l’impiego della manodopera era di 400-500 unità lavorative circa1.
Occupava un’area di 17 ettari ed era dotato di centrale idrica, impianto per la captazione del metano sul posto, centrale termica. Questo impianto industriale fu uno degli ultimi progetti e non entrò mai in funzione: l’inaugurazione era prevista nel giugno del 1940, come testimoniano le fotografie scattate per l’occasione, ma la contemporanea entrata in guerra dell’Italia bloccò sul nascere qualsiasi aspirazione. Di fronte alla cartiera fu costruita la I.N.T.A, Industria Nazionale Tessili Autarchici, adibita alla trasformazione degli stracci in lana artificiale. A fianco di questa struttura fu impiantata l’industria denominata MA. LI. CA (Manifattura Lino Canapa), per la lavorazione e la stagliatura della canapa verde; la sua capacità di lavorazione era di 180 q.li giornalieri con un impiego di 100 unità lavorative2.

Legati alla lavorazione della canapa erano anche il Consorzio Nazionale Produttori Canapa nell’attuale Via Giordano Bruno, utilizzato per la selezione della canapa bianca (già macerata); lo stabilimento della Soc. An. Cafioc per la trasformazione della canapa in fiocco, con cui si tendeva a ridurre al minimo l’importazione del cotone; la sua capacità di lavorazione era di 10.000 chili giornalieri di fiocco con un impiego di 200 unità lavorative3. Accanto al Cafioc era stato costruito lo stabilimento della S.A.D.A (Società Anonima Distilleria Agricola), distilleria sorta per l’estrazione di alcol dalle bietole; iniziato nel marzo del 1935, e terminato con estrema rapidità in cinque mesi, aveva una capacità di lavorazione di 1500 q.li al giorno con una capacità di 120 unità lavorative4. Da segnalare vi è lo zuccherificio della Soc. A.N.B. per la lavorazione delle bietole, con una capacità di lavorazione di 7000 q.li con un impiego di 150 unità lavorative5. Sempre nell’ambito del programma economico basato sull’autarchia è da annoverare la costruzione dello stabilimento della società S.I.A.R.I, nel piazzale del Littorio, ora Piazzale Po.

Il mercato delle fibre tessili era stato rivoluzionato nel 1933 con la comparsa sui mercati di un nuovo materiale, il “fiocco”, introdotto dalla SNIA-Viscosa, mentre la produzione del Lanital, la fibra tessile ricavata dalla caseina fu iniziata nel 1935. La S.I.A.R.I. si occupava della lavorazione del latte con la sua trasformazione in burro, caseina tessile e lana sintetica; la capacità di lavorazione era di 500 ettolitri al giorno con un impiego di 80 unità. Inoltre fu costruito il magazzino del Consorzio Agrario Provinciale per l’ammasso grano con annesso impianto meccanico dell’essicatoio granone; la capacità di ammasso grano era di q.li 20.000 mentre quella di essicazione del granone era di 100 q.li giornalieri con un impiego di 20 unità lavorative6.

Un altro magazzino era il C.A.L.E.F.O. (Consorzio Agrario Lavorazione Esportazione Frutta Ortaggi) destinato alla raccolta e alla selezione della frutta da esportazione, vi trovavano impiego 60 persone. Nel 1937 fu iniziata la costruzione dello stabilimento della S.A.I.M.M. (Società Anonima Industrie Meccaniche Metallurgiche) lungo la circonvallazione che porta al piazzale delle Milizie, ora piazza dei Mille. Con una capacità di 150 unità lavorative produceva macchine agricole, in particolare trebbiatrici e pressaforaggi dando lavoro a oltre 120 addetti7. Questa fabbrica fu una delle poche che non era legata direttamente alla lavorazione di prodotti locali anche se fu costruita come industria di supporto alle diverse attività agricole presenti nella zona.

I risultati concreti della diffusa industrializzazione del paese furono un aumento demografico e soprattutto la terziarizzazione dello scenario socio-economico. Non era più il borgo agricolo costituito da braccianti, ma questi si erano trasformati in operai una volta inseritisi nelle fabbriche di nuova costruzione. Qui, hanno poi incontrato tecnici provenienti da altri paesi che li hanno addestrati alle più aggiornate tecnologie della lavorazione del legno, del ferro, al lavoro con macchine utensili, ad una cantieristica moderna. Molti di questi operai sono diventati artigiani.

Ecco perché l’intervento di Rossoni si distingue nettamente dagli interventi dell’Agro Pontino: per la sua complessità e per la visione sociale che sta a monte del progetto urbano. La nuova cittadina viene concepita in modo da creare non solo un’inscindibile relazione fra l’abitato e il territorio attraverso l’industria di trasformazione, ma anche tutta quella complessità di relazioni sociali che fondano l’identità urbana.

La ricostruzione del paese voluta da Rossoni e il nuovo assetto urbano-architettonico-sociale che lui volle imprimere, portò effettivamente un benessere comune tra le persone che vi abitavano. Tresigallo, se pubblicizzata a dovere e utilizzata come campione, poteva diventare uno strumento che avrebbe annullato l’operazione delle Paludi Pontine.


1Cfr. Rassegna della mostra delle attività di Ferrara fascista nel ventennale della fondazione dei fasci 1919-1939.

2Cfr. Ibidem.

3Cfr. Ibidem.

4Cfr. Ibidem.

5Cfr. Ibidem.

6Cfr. R. Sitti, Un programma autarchico d’industrializzazione nel ferrarese, in «Quaderni emiliani», 3, 1979, pp. 134-137.

7Cfr. Ibidem.

Popolare una nuova città

D al 1934 fino al 1940 la cittadina fu caratterizzata da un grande fervore che investì tutti coloro che parteciparono alla sua rifondazione, oppositori compresi.

La città in costruzione diviene essa stessa, nella sua interezza, cantiere. Richiama dall’esterno manodopera specializzata e tecnici messi quotidianamente a confronto con progetti, stimoli, suggerimenti che provengono direttamente da Roma e dagli uffici tecnici delle aziende chiamate a insediarsi a Tresigallo da Torino e da Milano. Le case sorgono dove prima vi era aperta campagna e, all’interno degli spazi abitati, tutto cambia e tutto viene trasformato. Aumenta la richiesta di manodopera edile nei comuni limitrofi; oltre ai lavoratori provenienti da altri paesi al seguito delle loro imprese, si va formando un movimento pendolare di operai che, trasportati su camions, arrivano a Tresigallo. Molti di questi non se ne andranno più, perché troveranno lavoro come muratori e operai industriali, nel commercio e nell’artigianato in forte ascesa.

Eppure, il problema di popolare una paese che stava diventando città, non fu cosa da poco.

Una prima soluzione si ebbe con l’insediamento di industrie non autoctone nel nuovo paese. Per sopperire alla scarsità di manodopera specializzata si decise di trasferire una quota di operai dalla sede centrale al nuovo stabilimento tresigallese. In seguito, ai nuovi dipendenti “immigrati” furono assegnate abitazioni costruite e finanziate dall’industria stessa. I segni di questo processo sono rintracciabili se si osserva il tessuto architettonico di Tresigallo: a lato degli stabilimenti industriali trovano posto proprio quelle palazzine e case popolari in cui vivevano i dipendenti forestieri, oltre gli operai della zona.

Molte persone vennero ad abitare a Tresigallo anche perché videro, in un periodo di profonda crisi, la possibilità – rarissima a quei tempi – di trasformarsi in operai dell’industria, lasciandosi alle spalle la faticosa vita di bracciante. Effettivamente si iniziò in provincia a parlare di questo piccolo borgo che si industrializzava, si ingrandiva, si abbelliva sempre più.

Alcuni venivano da Medelana, da Portomaggiore, da Copparo, a piedi, in bici, in calesse pur di veder sorgere questo paese. “Hanno costruito una fontana a Trasgàll!”, dicevano. “Hanno aperto delle fabbriche a Trasgàll!”, ribattevano. In pochi mesi il paese divenne un luogo appetibile per molte persone, soprattutto in quell’Italia soffocata dalla crisi economica e dal pagamento di pesanti sanzioni. A causa dell’altissimo tasso di disoccupazione nella provincia di Ferrara, il fascismo fece forzatamente emigrare molte famiglie ferraresi nell’Agro Pontino, in Sardegna e in Africa. Ecco che la gente vide in Tresigallo l’Eldorado, quasi un’ultima possibilità di lavoro nella propria terra.

Le inaugurazioni

T ra il 1935 e il 1937 vennero inaugurati i primi stabilimenti industriali e la maggior parte degli edifici pubblici, appena ultimati. Il disegno finale, dal punto di vista urbanistico ed architettonico, non è il risultato ben riuscito di un piano regolatore elaborato da prestigiosi architetti a seguito di un concorso indetto dal Regime. Per Tresigallo non è esistito alcun piano regolatore e tanto meno nessun bando di concorso per l’elaborazione di un progetto (a differenza della maggior parte delle “città nuove”, come Sabaudia, Aprilia, Pomezia, per le quali, l’Opera Nazionale Combattenti, committente dei lavori, bandì un concorso nazionale), né tanto meno la firma di un importante architetto (o un’équipe d’architetti).

La fisionomia della nuova città industriale -il vero piano regolatore- si trovava -probabilmente da molto tempo- nella mente e nei sogni di Rossoni, il quale, volgendo lo sguardo al suo antico borgo natio, già sapeva (o intravedeva) dove sarebbero state tracciate le nuove vie ed edificate le moderne industrie di trasformazione coi relativi edifici pubblici e privati.

Tresigallo nasce per volontà di Rossoni, dunque; non del fascismo. Per questo motivo, la città di Tresigallo sarà sempre emarginata dalla propaganda nazionale e dalle riviste specialistiche dell’epoca.

A Tresigallo si costruisce velocemente: a lavoro ultimato si inaugura l’edificio pubblico o lo stabilimento, e il giorno dopo entra in funzione, o in attività. Solo il CAFIOC, a livello di testimonianza, venne inaugurato (quando venne ricostruito dopo l’incendio del ‘35), dal Ministro delle Finanze Taon de Revel, il quale fu accolto dai balilla tresigallesi inquadrati.. Durante questo storico comizio, il Ministro delle Finanze Thaon de Revel elogiò pubblicamente Rossoni per la sua opera, affermando che neanche una lira di denaro pubblico era stata impiegata abusivamente.

Molte volte veniva Rossoni da Roma in tutta fretta pur di inaugurare le nuove opere, fermandosi una mezza giornata o, al massimo, dormendo in paese una notte per poi ripartire il giorno dopo. La gente accorreva da tutti i rioni e dai paesi limitrofi per vedere la nuova Casa del Fascio (inaugurata con una maestosa festa da ballo) o la nuova palestra della Casa del Balilla, mentre per le fabbriche si riversavano in paese molte autorità importanti accompagnate da gente di tutta la provincia, oltre a tutte le famiglie dei capi d’industria, dei geometri, dei carpentieri, degli intonacatori, già in loco. Il Ministro celebrava queste manifestazioni con grandi discorsi, eleganti pranzi all’albergo di lusso Domus Tua e, di sera, si rilassava ballando un valzer - suonato dalla mitica orchestra Carboni- con la ragazza più carina del paese al Domus Tua, la sala da ballo.

Della realizzazione di queste grandi opere, delle eleganti inaugurazioni, del movimento di migliaia di persone, nessuna stampa dell’epoca farà cenno.

Una città mai finita

R ossoni, a causa della costruzione di Tresigallo e del consenso sempre più crescente che stava riottenendo tra le masse italiane, viene sostituito in ministero il 30 ottobre 1939.

Venne nominato Ministro dell’Agricoltura e Foreste Giuseppe Tassinari, allora sottosegretario di questo ministero, il quale rimarrà in carica fino al 1941, quando viene sostituito dall'altro celebre agronomo fascista Carluccio Pareschi.

Lavori degni di nota, voluti da Tassinari per Tresigallo, sono le due richieste fatte a Mussolini: nella prima, del 12 febbraio 1940, si richiede il “contributo dello Stato a termini della legge di bonifica per la costruzione di un canale per lo scarico e la diluizione, nelle acque del Volano, delle acque di rifiuto dei nuovi stabilimenti industriali di Tresigallo”; nella seconda, datata 18 maggio 1940, si richiede un “canale per lo scarico degli stabilimenti industriali di Tresigallo”. Il Duce, in tutti e due i casi darà il proprio consenso.

Il rinascimento di Tresigallo, dopo soli cinque anni, era giunto al termine, e la parabola di Rossoni stava anch’essa giungendo al traguardo.

Senza più potere, i cantieri chiusero dopo poche settimane; si cercò, comunque, di finire gli edifici in fase di ultimazione. Alcune fabbriche non entrarono mai in funzione (come la CELNA, Cellulosa Nazionale, inaugurata nel maggio del ‘40 – la quale avrebbe fatto lavorare 1400 operai - ma mai aperta a causa dell’entrata in guerra dell’Italia un mese dopo) mentre altre furono riconvertite. Il Ricovero per l’assistenza a vecchi operai e operai invalidi rimarrà per sempre un sogno di Rossoni. La ferrovia, che doveva congiungere Tresigallo con Ferrara e Ravenna e forse anche con Adria e Venezia (come dimostra il bivio ferroviario, ancora esistente, Tresigallo-Correggi, sito ad una decina di chilometri dal paese), rimarrà solo un ambizioso progetto sulla carta. Infine, l’ultima grande ambizione, la costruzione dell’ASPORITAL, stabilimento per la difesa del grano e degli altri cereali dal malanno delle ruggini, con annessi piscine e campi da tennis per gli operai, non sarà, anche questo, mai costruito.

Grazie al permanente deficit economico del basso ferrarese e al boom economico in queste zone forse mai del tutto arrivato, la Tresigallo voluta da Rossoni si è sostanzialmente “congelata”, mantenendo, dopo quasi 80 anni, la propria immagine razionalista praticamente inalterata.

La riscoperta della città

D opo alcune demolizioni e rovinosi abbandoni, il 7 novembre 2003, la Soprintendenza di Ravenna trasmette al comune di Tresigallo un Progetto di Catalogazione e schedatura architettonica e urbana degli edifici rossoniani, sotto la guida e supervisione dell’architetto Andrea Alberti. Da quell’anno nasce nella nuova giunta comunale una certa sensibilità nei confronti del proprio patrimonio. Infatti, nel 2003, si registra l’adozione, da parte del Comune, del marchio “Tresigallo, città del ‘900”. Pochi mesi più tardi, nel 2004, la Regione Emilia-Romagna ne riconosce l’appartenenza al circuito delle “Città d’Arte”.

Nel 2005 stava per nascere un progetto importantissimo da parte della Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara per avviare, in Tresigallo, un centro di “Restauro del Moderno”. L’architetto Carlo Bassi, in un articolo comparso su una rivista provinciale, scriveva: “Quale luogo migliore, da noi, (in Italia: ndr) di Tresigallo per essere il luogo di riferimento per queste nuove e necessarie elaborazioni del concetto del restauro? […] Da noi, come dicevo, Tresigallo sarebbe un campo di lavoro prezioso per lo studio di molti aspetti del restauro del Moderno, e per sperimentare validità e contraddizioni”.

Eppure, nonostante l’interessamento di architetti e università, l’idea non ha avuto esito positivo.

Nel 2008 il Comune aderisce volontariamente all’Associazione Nazionale Borghi Autentici d’Italia.

Nel 2009, grazie all’interessamento della giunta comunale, Tresigallo aderisce all’Associazione Nazionale delle Città di Fondazione (Tresigallo è uno dei comuni fondatori).

Nel 2010, il CE.S.A.R (Centro Studi sull’Architettura Razionalista) dedica interamente un numero monografico sull’architettura della cittadina, contando tra i realizzatori dell’opera, Cristiano Rosponi (direttore del CE.S.A.R.), Flavio Mangione (architetto internazionale), Agostino Attanasio (direttore dell’Archivio Centrale dello Stato) e Stefano Muroni (oggi presidente dell’Associazione Torri di Marmo). E’ la prima vera pubblicazione riguardante Tresigallo che oltrepassa i confini provinciali, essendo, il monografico, a tiratura europea.

Sempre nel 2010, lo scrittore Antonio Pennacchi vince il Premio Strega col suo capolavoro “Canale Mussolini”, romanzo che vede, tra gli altri personaggi, anche quello di Edmondo Rossoni (al tempo amico dei nonni del Pennacchi). Inoltre, lo scrittore cita più di una volta Tresigallo, la sua costruzione, la particolare concezione, la sua unicità.

Da ricordare, in questi anni, anche l’intensa opera - da parte dell’Amministrazione Comunale - di restauro, messa a norma, messa in sicurezza, valorizzazione, ristrutturazione di molti edifici simbolo della Tresigallo razionalista. In soli 7 anni sono stati interamente restaurati: l’ex Caserma dei Carabinieri; l’ex Casa della GIL; l’ex Domus Tua; il portale dello Stadio; l’Asilo Infantile e il suo portale; l’Asilo Nido Maria Dirce Rossoni; l’ex SAAT; la piazza Italia; la chiesa, il suo sagrato e i portici; l’ex piazza Rivoluzione; infine sono stati riportati nel loro disegno originale gli ex Bagni. E a breve anche gli edifici razionalisti del C.A.L.E.F.O. e del Consorzio Agrario verranno riportati al loro progetto originale.

Segno evidente che, dopo 60 anni, la nuova Amministrazione Comunale diviene consapevole e sensibile del proprio patrimonio architettonico, attivandosi fortemente nell’attuare nuovi restauri col fine di delineare sempre più l’immagine complessiva della città di rifondazione.

Grazie ai prestigiosi riconoscimenti, grazie all’intensa opera di catalogazione degli edifici degli anni ‘30, grazie ad una sempre più intensa opera di valorizzazione da parte del Comune, e soprattutto grazie ad una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini tresigallesi del proprio patrimonio artistico-architettonico, dopo oltre 70 anni, gli edifici rossoniani non sono più di facile manomissione.

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